Dicono di noi...


Scrive di noi: Anna Gigli

Nel mese di settembre del 1956, sono arrivate a Sammontana le Suore Stabilite nella Carità. Una mattina, dopo la Santa Messa, ho aperto la porta della casa e della scuola di Sr Luisa Martelli al Conte Giovanni Sardi, alla Contessa Isabella Doria Lamba, a Don Carlo Fontani, a Sr Giovanna Granchi (Superiora), Sr Antonina Chiavacci, Sr Nazzarena Gentile e Sr Elena Donatini.

Ho servito la colazione poi ho aperto le camere e le altre stanze. A ottobre è iniziata la scuola e l'asilo.

Per noi mamme di Sammontana l'asilo è stata una cosa grande e bella; i bambini ci andavano volentieri, ci stavano bene, si divertivano e giocavano. Noi mamme eravamo tranquille: la mattina si preparava il panierino con il "secondo e la frutta"mentre al primo pensavano le suore che davano la pastasciutta o la minestra molto buona pagando una quota.

I maschi avevano il "grembialino"a quadretti celesti, le femmine a quadretti rosa: guai ad andare a scuola senza “grembialino”. Da lontano si vedevano e sembravano gruppetti di fiorellini.

L'asilo fu importante per Sammontana, ma anche per i paesi vicino a noi perché i bambini ci stavano tutto il giorno; il posto era comodo e bello, poi fin da piccoli imparavamo cose belle ed educative. (In altre scuole non c'era questo comodo anche per le elementari).

Alle elementari i maschi avevano il “grembialino” nero con il collettino bianco e il fiocco azzurro, le femmine il grembio bianco e il fiocco rosa.

Nel passare del tempo aumentavano sempre di più i bambini alle elementari e all'asilo. Allora cosa hanno dovuto fare le suore? Hanno utilizzato altri spazi interni per accogliere e far stare bene i bambini. C'era una sala grande con il palco che serviva per fare il teatrino che divertiva tutti, anche i grandi, ma era utilizzato come spazio giochi nelle brutte giornate e come spazio mensa.

Serviva però altro spazio per l'insegnamento così hanno tolto tutto per fare due aule, hanno allestito a pianterreno la cucina e hanno comprato banchi nuovi, sedie, tavolini per l'asilo e tante altre cose per rendere più bella la scuola. Passa il tempo, aumentano le esigenze da tutte le parti. Così hanno fatto ancora lavori: due aule più bagni. Fuori hanno fatto pianali più grandi e belli, il campino per giocare a pallone e per fare feste per i ragazzi della scuola. Insomma la scuola di Sammontana è sempre stata rammentata per una scuola bella, ariosa ed educativa.

Hanno fatto recite, al teatro a Fibbiana, a Montelupo e tutti sono rimasti da come le insegnanti hanno organizzato i bambini grandi e piccoli. E non basta ancora, le esigenze continuano, hanno dovuto mettere a norma la scuola per legge: porte per la sicurezza, impianto a metano, impianto per l'acqua comunale, l'impianto contro incendio, recinzione di tutta la scuola con altre ringhiere.

L'impianto per il riscaldamento a gasolio era stato fatto anni fa, quando c'erano a scuola i miei nipoti (la più grande ha trent'anni); quando invece c'erano i miei figli, c'erano delle stufe di terracotta che funzionavano a legna.

Scrive di noi: Suor Teresa Manetti

"Che tempi eran quelli..."

Sono una suora Stabilita nella Carità, al momento mi trovo nella casa Madre, a Monticelli. Prima di entrare in Convento abitavo a Sammontana, dove c'è ancora la scuola elementare tenuta dal 1956 dalla mia Congregazione.

Quando ero a casa, prima di entrare in Convento frequentavo con le amiche la parrocchia e la scuola. Ricordo che al mattino molto tempo lo trascorrevamo con Sr Evelina, una suora calasanziana, e il pomeriggio prima delle funzioni parrocchiali Don Fontani riuniva tutte le giovani per una formazione generale. La nostre giornate trascorrevano tra le mura e i cortili della scuola e varie attività o intrattenimenti richiamavano sempre tanta gioventù e con loro tante famiglie, anche di paesi e frazioni vicine. Sr Evelina, la nostra assistente, ci preparava anche per gli spettacoli. Dopo le lunghe giornate trascorse a lavoro nei campi l'unico momento da ritagliare per le varie prove erano i "dopocena", quando i babbi accompagnavano le figlie dalle suore per poi riunirsi a "veglia" nella casa colonica della famiglia Salvatori, nei pressi della scuola.

Tutto il popolo era molto affezionato alle suore e noi ragazze dell’Azione Cattolica rimanemmo malissimo quando furono richiamate nelle loro case per continuare l'opera principale del loro carisma riguardante l'assistenza ai bambini senza famiglia: non volevamo affatto le nuove suore!!

La prima domenica che le Suore Stabilite vennero a Sammontana noi giovani, invece di essere presenti ad accoglierle e di far loro festa, andammo ad Arezzo in circa diciassette, a trovare la nostra Sr Evelina. Immaginatevi il Parroco, Don Fontani, uomo di zelo che ricordava per i modi, spesso bruschi ma con il cuore grande, i parroci di un tempo. Ricordo ancora le sue parole che tuonarono con il tono severo di un padre che riprende le sue figlie:- Vergogna! Vi sembra questo il modo d'agire! Da voi non me lo sarei aspettato! Quelle parole così dure in quel momento erano giuste perché non ci eravamo comportate in modo corretto nei confronti di quelle povere suore.

Sr Giovanna delle Suore Stabilite riprese l'attività di Sr Evelina e le consorelle, comprendendo l'attaccamento che sentivamo verso le Calasanziane, ci seppero scusare dando a tutti il tempo di conoscerle. Dopo la "ramanzina" di Don Fontani e vedendo il buon cuore di queste giovani suore cominciammo a starle vicine, continuando a frequentare la parrocchia e a partecipare alle riunioni.

Oggi ripenso spesso a quei giorni, e in modo particolare a Sr Nazzarena che mi riaccompagnava a casa dopo il vespro. Ricordo le nostre "chiacchierate" fatte lungo la strada che mi hanno aiutata tanto a dare delle risposte affinché fosse matura la mia scelta religiosa nella comunità dove oggi vivo: sono sicura che lei aveva intuito quello che stava accadendo dentro di me.

Sr Nazzarena e la Madre Cherubina delle Suore Stabilite si adoperarono per starmi vicine, ma cosa poteva offrire ad una congregazione che si occupava da sempre di educazione una Donna come me che dopo una formazione elementare aveva solo lavorato nei campi? ll 15 Agosto, giorno dell'Assunta, dell'anno 1962 dopo la morte della mia mamma, lasciai il paese e la parrocchia di Sammontana per entrare come Probanda e poi Novizia alla Casa Madre delle Suore Stabilite nella Carità a Firenze.

Oggi, da 39 anni sono la suora "portinaia" e malgrado gli anni felici e travagliati trascorsi al mio piccolo paese di campagna, Gesù mi ha Donato la certezza e la grande gioia di aver trovato il "mio posto" in questa comunità religiosa.

Scrive di noi: Maria Luisa Bartolini

Suor Nazzarena e la minestra di fagioli

Sr Nazzarena era la suora di cucina e del piccolo pollaio che c'era nell'orto sul retro della scuola: Era una donna bassa, grassoccia di poche parole, ma il suo viso largo aveva sempre pronto un sorrisone; me la ricordo con un accenno di baffetti. La sua tonaca nera profumava di minestra; il grembiulone di tela azzurra che indossava per fare il bucato, le dava un aspetto di donna di casa tutto fare.

Su, nel suo "regno" preparava le minestre per i bambini della scuola, poi veniva da lei portata giù nel refettorio con una capiente pentola. Il venerdì era il giorno da me più atteso perché era il "il giorno della minestra di fagioli"; non era un comune passato (di fagioli), ma c'erano anche fagioli interi. La cosa che mi divertiva era ripescarli dalla scodella cercando fra le paste che spesso erano i"paternostri"; poi li disponevo nel coperchietto del tegamino dove, per quel giorno, la mamma mi aveva messo il tonno o due acciughe, così mi ritrovavo anche il contorno. I più frettolosi, forse i più affamati l'ingoiavano subito con le paste senza badare a tanto, ma io ne guardavo il colore, la rotondità, proprio così, perché non erano tutti rosati, ma ne apparivano anche neri o marroni più chiari o più scuri...

L'arrivo della legna

Il combustibile per le care stufe di terracotta era la legna ricavata dai boschi circostanti alla scuola. Adesso il metano arriva silenzioso alla caldaia, mentre il gasolio entrava rumorosamente nella cisterna disturbando un po' i nasi col suo odore nauseante. 

Quando arrivava la legna, sì che era una festa; il frastuono rotolante che facevano i tronchetti catapultati dal carro nel cortile, era un invito piacevole, voleva per noi dire: divertimento. Dopo pranzo, infatti, disponendoci in fila uno accanto all'altro formavamo un lungo serpente che dal cortile entrava nel corridoio e poi su per le scale fino alla porticina della soffitta (luogo misterioso); ci passavano i tronchetti per farli giungere a suor Nazzarena che li sistemava in soffitta (quelli che servivano per la cucina che a quel tempo era al piano superiore). Il serpente poteva però fermarsi alla porta del sottoscala (lì ora suor Ancilla ha il computer) dove venivano accatastati i tronchetti da utilizzare per le stufe di terracotta. Le mani, poi, profumavano di pino, di cipresso, un po' appiccicavamo per la resina, ma ci eravamo divertiti insieme.

Le stufe di terracotta

Nel tempo dei miei anni delle elementari, il compito di riscaldare i locali della scuola era dato a delle simpatiche stufe di terracotta rosso-mattone, ad altezza d'uomo, una di queste troneggiava nel corridoio e... toccarla quando era calda non era consigliabile, toccarla quando era fredda lasciava una polverina rossa sulla dita, ma soprattutto guai a sfiorarla con il grembiulino bianco, era un'offesa per la mamma che tanto aveva fatto per mandare a scuola il suo "fiorellino" candido come il biancospino.

Nell'aula dove sono stata con suor Aurelia (dove sono stata come insegnante), la stufa era collocata proprio là, al posto del computer. Nelle fredde giornate d'inverno, era un incanto guardare la suora che apriva lo sportellino della stufa per introdurre dei tronchettini di legno; in quel momento, con lo sportellino aperto pareva che la stufa parlasse con le lingue di fuoco:- venite bambini, adesso farò più caldo per voi.

Poi la suora ci faceva un po' avvicinare, a distanza di sicurezza, e un calore piacevole ci avvolgeva. Oppure, suor Aurelia, prendeva il suo scaldino di latta, ci metteva un po' di tizzoni ardenti rubati alla stufa e, dopo averli mascherati con un po' di cenere, ci faceva scaldare le mani chiamandoci attorno.

Giocare a palla!

I muri del cortile di destra (guardando la scuola) erano i compagni di gioco delle bambine, sì, pareva che giocassero con noi perché buttavamo loro la palla ma ce la respingevano e noi la stringevamo trionfanti al petto. La palla batteva, volteggiava e ritornava a noi e poi al muro, mentre cantavamo una filastrocca che accompagnava le nostre acrobazie fatte di giravolte o giochi d'equilibrio, ma l'importante era non far cadere la palla a terra anche se capitava a noi di cadere perché ci girava la testa. Facevo così: Oè, stando alzando un piè, battendo le mani, davanti e dietro....

 

Scrive di noi: Giacomo Tizzanini

Sono molti i miei ricordi e le mie esperienze legate a questa scuola, per questo mi risulta difficile sceglierne uno. Uno in particolare ritorna spesso quando, anche in famiglia, parliamo dell'infanzia mia e di mio fratello e di quando andavamo all'asilo dalle suore.

Quand'ero piccolo, mi dicono, ero un bambino molto tranquillo, quasi timido che, anche nell'ora di ricreazione, se ne stava appoggiato ad un tiglio con il suo bravo giornalino di Topolino sotto il braccio a guardare la confusione e i giochi degli altri bambini.

Un giorno la mia classe si era comportata particolarmente male, facendo veramente uscir dai gangheri la povera Sr Gisella la quale, al colmo della disperazione minacciò di venderei tutti al mercato di Empoli. Naturalmente gli altri bambini non se ne curarono più di tanto; io invece tornai a casa in lacrime, confessando a mia madre tutti i timori per la possibile vendita. Mia madre, ridendo (ma senza farsene accorgere perché aveva capito che per me il fatto era terribilmente serio), mi rassicurò dicendo che nessuna suora avrebbe potuto vendere un bambino senza il permesso della mamma.

Il giorno dopo arrivai a scuola con aria trionfante e, con tono quasi di sfida riferii a Sr Gisella ciò che mi aveva detto mia madre. La suora, che probabilmente dopo mezz'ora si era dimenticata della sua minaccia, all'inizio non capiva, poi scoppiò in una risata che mi indispettì molto: Ancora oggi mi chiedo cosa ci fosse da ridere!

 

Scrive di noi: Gianni Pampaloni

Quanti ricordi se mi metto a pensare!

Ho il triplo degli anni della primissima educazione scolastica. Si stanno allontanando sempre più i giorni in cui insieme agli altri coetanei, indossavo il "grembiulino nero".

Se guardo la foto in carnera mia mi accorgo che non tutti avevano il fiocco blu ben fatto. Tutt'altro, molti, di quei soliti nastri azzurri restavano penzoloni per l'intera giornata e si sfilacciavano ai capi. Qualcuno, fra noi, non lo portava neppure più. Io avevo un piccolo trucco per apparire l'ometto compunto che osservo nella foto: avevo una spilla conficcata nel nodo e il fiocco blu restava, così, sempre compatto, disteso, con le morbide pieghe in evidenza. Quanti ricordi se mi metto a pensare! Le foto ingialliscono, e poi una fotografia non potrà mai contenere, nel rettangolino che la compone, la dinamica di una corsa, la staffetta a cui ci univamo tutti quanti per portare al piano superiore la legna accatastata nel giardinetto...

Neppure un milione di istantanee potrà rendere alle nostre orecchie le squillanti risate, i piccoli pianti provocati dalle cadute nel campino... Niente, se non il ricordo di tanti piccoli momenti, potrà dipingere la Scuola Sr Luisa Martelli di allora.

La scuola del verde, posizionata come è nel cuore delle morbide colline, con il campo di grano a lato e dinanzi, la vigna alle spalle, sul retro, il rio ormai arido che la costeggia. Niente potrà più far rivivere quel ventaglio di colori e quei suoni,... se non il lento lavoro che compete l'animo umano, per ricomporre, ahimè frammentariamente, alcuni attimi.

Ma qualche fatterello accaduto in questo piccolo angolo di mondo è sicuramente aggrappato alla nostra memoria...

Probabilmente era in una di quelle giornata che si schiariscono, con la dorata luce di autunno; una di quelle in cui anche i colori della campagna volgono all'oro. Mi piace ricordarla o immaginarla così. Facevo parte del gruppetto di bambini che l'anno venturo avrebbero cambiato il grembiulino giallo canarino per indossare uno più grande e nero. Avrei cominciato le elementari e le ore sarebbero diventate sempre più importanti.

Dopo i giochi nel cortile provavamo a comportarci da scolaretti: c'era già un po' di invidia per quelli più grandi... Alcuni provavano a leggere e a, seguire le vignette dei topolino, altri, tra cui anch'io, c'impegnavamo a disegnare! Dopo un'oretta che avevamo disegnato oppure seguito il corsettino di lettura che introduceva alla prima e ci rimettevamo a giocare, ma dentro le aule.

Avevo disegnato, - mi ricordo bene - un cavallo nero che correva sull'erba di chissà quale prateria. Visto con gli occhi di oggi era un cavallo brado, libero di scorrazzare; era un po' come lo eravamo noi.

Piacque molto a Sr Romana e con le suore decise di mostrare il disegno a Sr Carla che allora era la maestra dei ragazzi di quinta elementare. Entrammo, naturalmente dopo aver bussato e ricevuta la risposta di assenso, nell'aula della "quinta".

I ragazzi avevano smesso di studiare e stavano dipingendo - a tempera, però! Le teste di tutti si alzarono, come ogni volta succede quando in una stanza si introduce una persona nuova (a maggior ragione in questo caso, quando gl'intrusi erano una suora ed un bambino in "giallo").

Solo in un secondo tempo Sr Carla e gli altri, i suoi alunni, si accorsero che tenevo stretto, dietro le spalle il mio disegno, quasi a voler nascondere il mio cavallo - tra l'altro dalle sembianze poco anatomiche - agli occhi di coloro che a me apparivano come piccoli pittori. Ricordo che dopo aver visto il disegno qualcuno - non saprei dire se la suora oppure uno dei ragazzi - mi chiese perché il cavallino nero era solo soletto nella verde prateria e non avesse invece un cavaliere...

Ero troppo emozionato per rispondere, stavo arrossendo ed era giunto il momento per andare. Eppure conoscevo la risposta: avevo disegnato Furia.

 

Spulciando tra i ricordi delle suore...

Negli anni sessanta si viveva specialmente di carità e la gente di Sammontana era generosa nei confronti di noi suore: ogni anno i contadini Pasqualetti che coltivavano il terreno dato in eredità da Sr Luisa Martelli per il mantenimento della scuola ci portavano oltre ai fichi dolcissimi con la goccia e ai bei penzoli d'uva dorati, anche un bel prosciutto che in inverno tenevamo appeso in soffitta, al fresco come un vero tesoro, e lo affettavamo solo la domenica per mangiarlo a cena o quando c'erano gli ospiti di riguardo. Quando si arrivava all'osso cercavamo di affettarlo più fine perché durasse di più.

I contadini ci portavano anche i capponi per Natale, o tre o quattro, però uno soltanto lo tenevamo per noi per fare un buon brodo a Natale e a Capodanno, gli altri li portavamo a Monticelli: era un onore per la casa di Sammontana donare i capponi alla Casa Madre!

Ricordo che li portavamo vivi ed era un problema trovare il mezzo di trasporto, per cui dovevamo farli pernottare nel nostro pollaio, però temevamo che ce li rubassero come purtroppo era accaduto una volta.

Per questo Sr Nazzarena, proclamata dai bambini mamma dei pulcini, attaccava un campanellino al cancello del pollaio perché ci desse l'allarme. Una sera, proprio la vigilia di Natale, mentre eravamo tutte a cena in silenzio, sentimmo suonare il campanello:- Ci rubano i capponi!- disse Sr Nazzarena. Allora ci alzammo tutte da tavola e con il cuore che batteva in gola, scendemmo le scale in fila indiana, armate solo di tanto coraggio pur di salvare i capponi; in testa alla fila c'era Sr Nazzarena e ultima la Madre Celina che tremava come una foglia: arrivammo fuori, c'era un bel lume di luna per cui ci accorgemmo subito che un leggero venticello faceva sbattere il cancelletto del pollaio e quindi suonava il campanello. Tirammo tutte un sospiro di sollievo e qualcuna disse: - Accipicchia ai capponi!

Ricordo un fatto molto curioso: un giorno, quando venne il caro (Peo) Valori a portare la solita briciolina per Sr Celina, Sr Nazzarena come di consueto, calò con la corda il paniere dalla finestra di cucina, allora situata al primo piano della casa, ma prima che la suora tirasse su il paniere con dentro il piccolo tesoro, il cane della fattoria di sotto, il nero Tonino che era in agguato forse dietro un albero, afferrò il fagottino e se la dette a gambe.

Sr Nazzarena immediatamente lasciò la corda e il paniere, scese le scale a rotta di collo e si mise a rincorrere Tonino per recuperare la refurtiva. Mi sembra di vederla ancora: correva, gridava, tirava sassi al povero animale raccogliendoli lungo la strada, finché il cane, dopo aver attraversato il ponticino, forse spaventato anche dall'aspetto della suora infuriata, lasciò la preda in mezzo alla strada e raggiunse la fattoria sconfitto e con la coda fra le zampe, mentre Sr Nazzarena tornò a casa trionfante, ansimando per la fatica, ma felice di poter cuocere anche quel giorno la briciolina alla Madre, anche se era stata per qualche momento fra i denti di un povero cane affamato.